L’Aquila – “La macchina della giustizia è in questo momento malata e le terapie attualmente in atto non stanno funzionando”. Il che si traduce in “un sempre maggiore distacco dei cittadini dalla Giustizia“, rassegnati a non vederla più come una risoluzione dei loro problemi. E’ il grido d’allarme lanciato da Giampaolo Di Marco, segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte d’Appello de L’Aquila.
Di Marco ricorda che proprio pochi giorni fa le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno ricordato che l’esercizio della giurisdizione non può svolgersi “senza la reciproca e continua collaborazione tra avvocati e magistrati, che si deve fondare sul principio di lealtà”. Ed è in questo senso che il segretario generale lancia un appello a tutte le professionalità della giustizia: “L’Avvocatura ha sempre offerto la propria disponibilità a lavorare assieme su obiettivi comuni”, disponibilità che “è stata spesso raccolta dagli altri attori del sistema Giustizia, ma talvolta si sono perse delle occasioni importanti”.
Il primo tema “sul quale tutti i professionisti del diritto potrebbero confrontarsi è quello dell’accesso alla Giustizia, che negli ultimi anni vediamo sempre più compresso. Dalla fine della crisi pandemica in avanti assistiamo, anche visivamente, ad una desertificazione dei Tribunali e ad un sempre maggiore distacco dei cittadini dalla Giustizia”, constata Di Marco. “Negli ultimi decenni la risposta politica alla lentezza dei processi è sempre stata nel senso di scoraggiare l’accesso alla giustizia, con nuove condizioni di procedibilità, sanzioni processuali, formalismi previsti a pena di decadenza”.
A questo “si aggiunge una sempre maggior tendenza ad una cartolarizzazione dell’amministrazione Giustizia, ad una perdita di importanza dell’udienza come momento centrale per la risoluzione delle controversie, persino ad una rinuncia ad utilizzare gli spazi degli uffici giudiziari come luoghi di confronto pubblico”. Il “frutto avvelenato di queste politiche è la perdita di centralità sociale della Giustizia, il fatto che i cittadini si rassegnino a non considerarla più uno strumento utile alla risoluzione dei loro problemi”.
Di Marco tende una mano ai magistrati: “L’aumento delle forme di partecipazione degli avvocati nei consigli giudiziari e nelle valutazioni di professionalità è un arricchimento culturale per tutti, nell’ottica di rendere più partecipate le procedure di valutazione”. E “l’utilizzo di sistemi di misurazione oggettivi delle performance è un importante elemento di trasparenza. Non dobbiamo avere paura dei numeri”. L’Associazione Nazionale Forense “crede indispensabile consentire all’Avvocatura una maggiore partecipazione all’attività organizzativa degli uffici giudiziari, dando seguito alle esperienze di buone prassi già esistenti in diversi Tribunali, con l’istituzione di cabine di regia per l’organizzazione dell’esercizio della giurisdizione”.
Di Marco riflette anche sui sistemi di intelligenza artificiale, che “potranno certamente essere utilizzati come strumenti a supporto dell’attività legale“. Occorre però, “che la fase decisionale, così come l’esercizio delle funzioni difensive restino ad esclusivo appannaggio di giudici e avvocati umani, che potranno beneficiare di strumenti evoluti, ma solo in funzione di supporto e comunque sempre in modo trasparente e mai con modalità sostitutive“.
Un ultimo passaggio ANF lo dedica proprio all’Abruzzo: “Desertificare la legalità in alcuni territori significa dimezzare la capacità di resilienza di quelle realtà locali a fenomeni criminali ormai evidenti che solo una Giustizia efficiente e prossima, insieme ad un recuperato senso del bene comune da parte dei cittadini, può impedire di radicarsi. Occorre che i progetti di legge in corso di esame trovino la massima condivisione dando prova di un vero interesse ad una Giustizia abruzzese modello anche per altre realtà del Paese”, conclude Di Marco.