di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – E’ uscito in questi giorni, per i tipi dell’editore Tabula Fati, un bel libro di Mira Carpineta, “Na ota no’…”, ricordi e memoria, lacerti di vita vissuta da Diomira e Antonio in un paese della Marsica, Capistrello, dai primi anni del Novecento ai primi anni Settanta dello stesso secolo. Sono i nonni dell’autrice. Ma è soprattutto Diomira la protagonista del racconto.
Diomira è una contadina analfabeta, nata nel 1898 a Capistrello, nell’Abruzzo più povero e disperato, ma nel corso della sua vita lei è testimone di eventi epocali: terremoti (in particolare quello della Marsica che il 13 gennaio 1915 fece 30 mila morti), pandemie (la terribile “spagnola”), due guerre mondiali, poi l’arrivo della televisione, delle macchine a motore, del frigorifero e della lavatrice.
Diomira attraversa un secolo in cui la società rurale dei “cafoni” di siloniana memoria diventa sempre più tecnologica. Eppure, grazie alla sua prodigiosa memoria riesce a trasmettere, insieme ai ricordi della sua vita, la testimonianza di una cultura scomparsa e lo fa solo con la sua voce, con i suoi racconti, con i canti della tradizione popolare.
Il viaggio che l’autrice compie invece a ritroso nel tempo ha lo scopo di ritrovare in quei ricordi, testimonianze e documenti, una persona straordinaria nella sua semplicità, che lei chiama Mammuccia, perché a Capistrello così si chiamano affettuosamente le nonne. Nel testo anche belle foto d’epoca in bianco e nero, attinte dalla pagina Facebook “Capistrello il mio paesello”, curata da Ester Fasciani e Carmina Marche Palleschi.
Mira Carpineta è nata a Teramo nel 1964. Laureata in Comunicazione internazionale e interculturale con indirizzo giornalistico, è giornalista pubblicista. Ha diretto fino al 2015 il magazine mensile “PrimaPagina”, periodico abruzzese di cui attualmente gestisce i contenuti nella versione on line. Scrive articoli per numerose testate in lingua italiana nel mondo, dalla Svizzera all’Argentina, dal Brasile all’Australia. Con i racconti arriva alla scrittura narrativa. In questo libro realtà storica e fantasia trovano la sintesi nel riportare alla luce ricordi e lessico familiare. L’autrice ha chiesto a chi scrive di redigere la Presentazione che apre il volume. Qui di seguito, per chi abbia interesse e pazienza anche per avere altri elementi sul libro, volentieri la condivido.
***
PRESENTAZIONE
Per la verità avevo promesso all’autrice di questo bel libro che le avrei consegnato il testo della Prefazione un paio di settimane fa. Invece impegni e scadenze ti travolgono e ti cambiano lo scenario. Così siamo arrivati ad oggi, domenica 24 luglio, tarda serata mentre scrivo. Proprio quando annoto la data, ciò che appare un caso si chiarisce quasi come una rivelazione. Già, perché oggi 24 è la “Giornata mondiale dei nonni e degli anziani”, una ricorrenza voluta da Papa Francesco da celebrarsi ogni anno nella quarta domenica di luglio, quella più prossima alla festività dei santi Gioacchino ed Anna, nonni di Gesù. Quest’anno, seconda edizione della Giornata, osservo che è caduta proprio nell’odierna domenica.
Quale coincidenza più opportuna, dunque, per l’incipit di queste annotazioni al volumetto di Mira Carpineta, che proprio dai nonni Diomira e Antonio, e dalla loro vita, trova motivo ed ispirazione per intraprendere un delicato ed intenso viaggio dell’anima, alla ricerca delle proprie radici, alla rivisitazione di antichi ed incorrotti valori morali, camminando nei meandri della memoria e dei ricordi adolescenziali. Una vera e propria trasmissione di saggezza contadina, di profonda sensibilità, d’una umanità semplice ed essenziale nelle forme quanto densa di significati e di valori formativi.
Proprio il particolare rapporto di affetto e complicità tra Diomira e la nipotina – Mira, autrice del volume – immagino abbia impresso decisamente l’abbrivio per raccontare queste storie di vita, nella Marsica d’inizio Novecento, dalle parti di Capistrello. «Na òta no’», (Una volta, nonna), così iniziavano i racconti delle nonne ai nipotini, chiamati non per nome proprio, ma con il rimando affettivo alla propria ascendenza di “nonna” troncato in «no’», quasi a stabilire quella confidenza e complicità che poi si dipanava nella narrazione.
Una storia difficile, quella tra la giovane Diomira e il corteggiatore Antonio, come poteva esserlo a quei tempi quando anche i rapporti d’amore votati al matrimonio dovevano passare all’esigente vaglio dei genitori, che ne verificavano la compatibilità tra le due famiglie e l’utilità, anche in termini di risultato economico. Nel caso dei due giovani Diomira e Antonio, al godibilissimo fraseggio dei dialoghi nella “madre lingua” dialettale, proprio non doveva essere questo il caso, tanto che si discuteva di fare una “fuga” per sposarsi altrove e mettere poi tutti davanti al fatto compiuto.
Si legge con piacere e tutto d’un fiato questo bel libro, seguendo la narrazione, ampiamente dialogica, dei vari periodi di questa coppia di giovani marsicani di Capistrello, con le fatiche, le preoccupazioni, i problemi, le sofferenze, ma anche il coraggio e la determinazione. Incrociano la Grande Storia italiana, nelle condizioni della povera gente – braccianti, contadini e piccoli artigiani – con la dura situazione sociale della Marsica soggiogata dai Torlonia (come tornano alla memoria i cafoni dei romanzi di Silone, come Fontamara, Pane e vino, Il segreto di Luca, e gli altri), massacrata dal terremoto del 13 gennaio 1915 con le sue distruzioni e le 30mila vittime, dalle conseguenze della Grande Guerra e dalla pandemia “spagnola”, dalla durezza della dittatura fascista, dalla spietatezza dell’occupazione nazista, specie nel terribile eccidio di Capistrello, il 4 giugno 1944 quando i tedeschi catturarono, torturarono e fucilarono 33 persone inermi.
Tutti questi fatti, come gli altri seguiti nel secondo dopoguerra e fino ai primi anni del nuovo secolo, sono il condensato di vicende piccole e grandi, tutte tessere d’un mosaico che è andato a costituire, insieme alle altre, la Storia d’Italia, con tutto il suo portato di dolori, fatiche, tragedie, speranze. Nel libro la narrazione è scorrevole. Coinvolgente. Intrigante, specie per il ricorso abbondante al dialogo ed all’uso del dialetto, che dà non solo freschezza al racconto, ma anche quella densità e ricchezza alla parola, nell’appropriatezza delle accezioni quale solo il vernacolo riesce ad esprimere.
C’è poi il valore della memoria e quello della scrittura. Ricordi come questi sono affidati alla trasmissione orale tra due o tre generazioni, poi rischierebbero di perdersi se non ci fosse l’opera di chi, come in questo caso l’autrice, non li riporta in un libro, affidandoli così ai lettori attuali e futuri. In un tempo in cui l’attenzione è sempre più effimera, la scrittura e i libri restano un antidoto sicuro alla conservazione della memoria e alla salvaguardia del suo valore profondo. “La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare”, affermava Octavio Paz, premio Nobel per la letteratura.
Voglio infine soffermarmi sui valori essenziali della civiltà contadina che dominano tutta la narrazione. Davvero uno scrigno di sapienze ataviche, di solide pazienze, di profonda umanità, di condivisione solidale. Nella loro semplicità ed autenticità quei valori disegnano nettamente per il lettore – specie per colui che per età non ha vissuto o lambito quei periodi storici e sociali – una società più umana e meno straniante di quella che oggi viviamo nel parossismo della modernità. Può essere certamente utile, per le nuove generazioni, leggerne e comprenderne valori, significati, singolarità e qualità, utili a rendere l’attuale società più sensibile alla solidarietà, più disponibile all’attenzione verso gli altri, più consapevole che – seppure nelle differenze sociali, economiche e culturali – condividiamo il medesimo destino con tutta l’Umanità.
La riscoperta delle radici, qual è la ragione di questo racconto di vita d’una famiglia semplice ed onesta della nostra terra d’Abruzzo mentre dispiega la sua storia lungo un intero secolo, deve portare a questa consapevolezza, nell’alternanza di generazioni capaci di trasmettersi memorie e valori. Proprio come con chiarezza richiamava Papa Francesco alcuni anni fa in un’udienza generale per le famiglie: «Ciascuno è unico e irripetibile; e al tempo stesso inconfondibilmente legato alle sue radici. Esserefiglio e figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa portare in sé la memoria e la speranza di un amore che ha realizzato se stesso proprio accendendo la vita di un altro essereumano, originale e nuovo.» Questo bel libro anche a queste riflessioni ci conduce. E se oltre all’apprezzamento della storia narrata, che tanti elementi di comunanza può avere per molti di noi, ci porta ad una meditazione sui valori più autentici, potremo peraltro sperare in un nuovo umanesimo per le nostre società di oggi.
Goffredo Palmerini