di Giuseppe Lalli
L’Aquila- Il 17 ottobre la Chiesa Cattolica fa memoria di Santa Elisabetta d’Ungheria. Si tratta di una delle figure più affascinanti del medioevo cristiano. Ad Assergi (L’Aquila), paese abbarbicato sulle pendici meridionali del Gran Sasso d’Italia dove lo scrivente è nato e cresciuto, nella vetusta cripta sotterranea della bellissima chiesa parrocchiale si ammira una gotica statua lignea raffigurante una misteriosa donna coronata, dolcemente sdraiata sopra il coperchio di una cassapanca contenente le reliquie di San Franco, il principale protettore dell’antico borgo. Il viso della statua presenta lineamenti assai raffinati e un garbo espressivo di rara bellezza, frutto maturo, quanto a stile, di quella scuola che, denominata “Île de France”, prende il nome dalla regione francese da cui ha avuto origine. Si tratta, con tutta probabilità, di un pezzo di una Natività raffigurante la Vergine dopo il parto, ma da sempre la voce popolare la identifica non nella regina del Cielo ma in una regina della terra: Santa Elisabetta d’Ungheria.
Una secolare leggenda vuole inoltre che la santa ungherese, quando era ancora in vita, per grazia ricevuta abbia fatto dono alla chiesa di Assergi di una quantità di argento necessaria a fabbricare l’urna che avrebbe dovuto accogliere le ossa di San Franco, la cui fama di santità sarebbe stata nota alla grande principessa. Da qui la statua, fatta fare dagli abitanti del borgo in segno di devozione e di riconoscenza. Le donne anziane del paese, come lo scrivente udiva quando era ragazzo, con la certezza che dava loro una notizia a lungo tramandata, indicando la singolare figura, sempre ripetevano all’ignaro visitatore: “È Santa Elisabetta, la regina d’Ungheria!”, e pronunciavano il nome con una inflessione della voce da cui traspariva rispetto e ammirazione.
Don Demetrio Gianfrancesco (1922-2004), sacerdote e storico che di Assergi fu parroco dal 1954 al 1976, nel suo libro ci ricorda che una “Santa Elisabetta” figurava alla fine del XVII secolo in una parete affrescata dell’antica e da tempo diruta chiesa rupestre assergese di “Santa Maria della Croce” (D. Gianfrancesco, Assergi e S. Franco, Roma 1980, p. 238). Ma chi era questa donna dalla vita a dir poco fiabesca la cui fama attraversa i secoli e non accenna a scemare?
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