Pescara – «L’Abruzzo è una delle sei regioni che non hanno ancora approvato il piano cave, nonostante la materia sia stata delegata dal 1977. Ce lo ricorda il Rapporto Cave 2021 di Legambiente. Le altre regioni inadempienti sono Basilicata, Molise, Sardegna, Calabria e Friuli Venezia Giulia a cui si aggiunge la Provincia autonoma di Bolzano».
A evidenziarlo è l’ex-consigliere regionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo che fornisce uno stralcio del rapporto: “ L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione. Questa assenza di pianificazione, unita agli interessi economici ed alla presenza della criminalità organizzata (le ecomafie) nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo della aree cava, mostra una situazione ancora allarmante in troppe aree del Paese”.Secondo il rapporto in Abruzzo ci sono 198 cave attive e ben 475 dismesse e/o abbandonate con un effetto di devastazione paesaggistica notevole. Un numero elevato se consideriamo dimensioni e popolazione della nostra regione. Francamente non mi è chiaro come possano essere solo 198 le cave attive se nel 2012 ne risultavano 596 e vi erano90 richieste di nuove autorizzazioni.Allora feci una battaglia per chiedere un censimento delle cave dismesse e può darsi che ne sia derivata questa riduzione dopo i controlli ma bisognerebbe approfondire. Se alla comunità rimangono le ferite inferte al territorio, come denuncia il rapporto “quello che emerge è la netta sproporzione tra ciò che viene richiesto dagli enti pubblici ed il volume d’affari generato dalle attività estrattive“.
«In Abruzzo –aggiunge Acerbo– con anni di battaglie in Consiglio Regionale e fuori siamo riusciti a ottenere qualche risultato almeno in termini di aumento dei canoni ma – come sottolinea il rapporto – comunque “il margine di guadagno dei cavatori è enorme”. La crisi dell’edilizia ha frenato negli ultimi anni la proliferazione di cave ma sarebbe opportuno che la Regione provvedesse ad approvare il piano. Ricordo che ero riuscito nel 2012 a fare approvare la moratoria all’autorizzazione a nuove cave ma PD e centrodestra alla fine cedettero alle pressioni dei cavatori.Su questa materia va detto – come per l’acqua minerale – che le competenze dovrebbero tornare allo stato visto che le regioni continuano a farsi pagare pochissimo per materie prime su cui si fanno grandi affari. Inoltre bisognerebbe organizzare filiere di recupero e riuso come fanno i tedeschi diminuendo progressivamente l’impatto sulle nostre montagne.Sarebbe importante sapere tra le centinaia di cave abbandonate quante siano oggetto di progetti di ripristino a carico delle imprese». Conclude Maurizio Acerbo.