venerdì , 22 Novembre 2024

Di Florio: Il “rischio industriale” d’Abruzzo non è di dominio pubblico.

 
«A meno di un anno di distanza dalla tragedia di Città Sant’Angelo, i nuovi drammatici eventi di Tagliacozzo riportano all’attenzione politica e sociale la questione del rischio industriale nella nostra Regione e della sua gestione -commenta Alessio Di Florio- lo stabilimento della ditta Pirotecnica Paolelli, così come lo stabilmento della Ditta di Giacomo di Città Sant’Angelo luogo dell’incidente dell’anno scorso, è inserito nell’elenco nazionale degli “stabilimenti a rischio di incidente rilevante”, per i quali è prevista dalla legge una gestione particolare che coinvolge tutti gli Enti Locali(Regione, Provincia, Comune), i Vigili del Fuoco e le Prefetture. In Abruzzo gli stabilimenti inseriti in questa particolare categoria sono 26, di cui 6 si occupano di “Produzione e/o deposito di esplosivi” (categoria nella quale è ricompreso lo stabilimento della Ditta Di Giacomo), 4 sono “Stabilimenti chimici o petrolchimici”, 1 distilleria, 7 “depositi di gas liquefatti”, 2 “depositi di oli minerali”, 2 “stoccaggi sotterranei” e 4 hanno produzione di diversa natura non specificata (l’elenco è consultabile sul sito del Ministero dell’Ambiente al link http://www.minambiente.it/pagina/inventario-nazionale-degli-stabilimenti-rischio-di-incidente-rilevante-0 )».

 
La categoria degli “stabilimenti a rischio di incidente rilevante” fu introdotta in Italia con DPR 17 maggio 1988 n. 175 che recepiva nell’ordinamento italiano la Direttiva 82/501/CEE(detta Direttiva Seveso, in quanto fu elaborata a seguito del gravissimo incidente avvenuto nella città lombarda allo stabilimento della ICMESA).
La normativa è stata successivamente aggiornata con il D.Lgs. 334/99 che recepì la Direttiva 96/82/CEE nella quale furono elaborate due categorie fondamentali di stabilimenti: facendo riferimento agli articoli relativi del D. Lgs. 334/99 vennero divisi in art.6/7 e art. 6/7/8. Per gli stabilimenti dove il rischio è maggiore e coinvolge il territorio circostante l’articolo 20 prevede che “il prefetto, d’intesa con le regioni e gli enti locali interessati, previa consultazione della popolazione e nell’ambito della disponibilita’ finanziarie previste dalla legislazione vigente, predispone il piano di emergenza esterno allo stabilimento e ne coordina l’attuazione”.
La consultazione della popolazione è stata ulteriormente precisata e regolamentata dal Decreto 139/2009 del Ministero dell’Ambiente, che fa seguito al D. Lgs. 238/2005 che ha recepito in Italia la Direttiva 2003/105/CE. L’articolo 2 del Decreto 139/2009 prevede che “Il prefetto, ai fini di cui all’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo n. 334 del 1999, nel corso della predisposizione del piano di emergenza esterno e comunque prima della sua adozione procede, d’intesa con il comune, alla consultazione della popolazione per mezzo di assemblee pubbliche, sondaggi, questionari o altre modalita’ idonee, compreso l’utilizzo di mezzi informatici e telematici”.
 

«La legge impone quindi il massimo coinvolgimento della popolazione, -avvisa Di Florio- tramite ogni mezzo possibile, nell’elaborazione del Piano di Emergenza Esterno e la più ampia pubblicità dello stesso, così che ogni cittadino sia a conoscenza dei rischi e dei comportamenti da tenere in caso di incidente. In questi anni varie volte ci si è interessati all’applicazione di questa normativa nei Comuni dove sono presenti gli “stabilimenti a rischio di incidente rilevante”.
Abbiamo purtroppo dovuto rilevare moltissimi ritardi nell’applicazione della normativa e che la popolazione non è neanche a conoscenza, in alcuni casi, che lo stabilimento situato nel proprio Comune è ricompreso nell’Inventario Nazionale di tali stabilimenti. Un accesso agli atti della primavera 2010 presso la Regione, i Comandi Provinciali e Regionale dei Vigili del Fuoco, le Province, le Prefetture e i Comuni ebbe pochissime risposte, in alcuni casi fu alquanto laborioso (in un caso per avere un documento che la normativa impone sia di dominio pubblico si è dovuto arrivare quasi a minacciare di adire le vie legali) e in un Comune, addirittura, gli stessi uffici comunali non conoscevano la normativa e che uno stabilimento “a rischio di incidente rilevante” fosse presente nel loro Comune».

Di florio fa notare come su decine di siti web di Enti coinvolti solo 5 abbianopubblicato “Piani di Emergenza Esterni” di stabilimenti presenti nel proprio territorio per un totale di soli 8 piani a disposizione della cittadinanza, la quasi totalità delle pubblicazioni è avvenuta su siti web della prefettura e di comuni della Provincia de L’Aquila.

 
«Anche la sola circostanza che, per avere copia dei Piani di Emergenza Esterno, per quasi tutti gli stabilimenti sia stato necessario un accesso agli atti -rimarca il coordinatore delle associazioni- (quando, invece, la legge stabilisce che essi devono essere facilmente reperibili in ogni momento e a totale disposizione dei cittadini) è esemplare della situazione dove non appare soddisfatto lo spirito del Decreto Ministeriale 139/2009 e i successivi provvedimenti di legge».

 
Di Florio poi ricorda come al rischio industriale in diversi casi si sommi la questione delle emissioni degli impianti stessi. «Riscontriamo costantemente che la popolazione non ha piena consapevolezza della reale situazione e gli Enti Locali non riescono a rispondere a tale necessità. Basti pensare che, come ampiamente denunciato da varie associazioni ambientaliste nel 2010, il Piano Regionale di Tutela della Qualità dell’Aria non risulta attuato: nella Provincia di Chieti non esisterebbe alcun controllo sulle emissioni in atmosfera nonostante il notevole numero di aree industriali (Val di Sangro, Chieti Scalo, Vasto e S.Salvo) e non è stato realizzato neppure il Piano di monitoraggio delle aree industriali previsto dallo stesso Piano di Tutela. Da considerare che diversi degli stabilimenti abruzzesi ricompresi nell’Inventario Nazionale degli Stabilimenti a Rischio di Incidente Rilevante si trovano nei pressi di importanti infrastrutture viarie (e non solo) e/o di centri abitati. Questa circostanza (come, dalle costanti segnalazioni e presenza sul territorio abbiamo notizia, nel vastese), in alcuni casi, crea allarmi e allarmismi nella popolazione, alla quale non viene fornita alcuna notizia al riguardo».
 

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