di Angela Casilli
La categoria di fascismo è, senza alcun ombra di dubbio, una delle più discusse sia nei dibattiti storiografici che in quelli politico-ideologici, così strettamente interconnessi fra loro da essere difficilmente distinguibili, ma espressione entrambi della rilevanza emotiva e civile attribuita fin dalle sue origini al fascismo, sia dagli studiosi del fenomeno che dagli oppositori politici.
Si tratta di una categoria così ricca di contenuti e di implicazioni a causa dell’accumularsi, in oltre settant’anni di analisi e polemiche che rendono assai difficile orientarsi tra le numerosissime interpretazioni, anzi, si ha quasi l’impressione che tutto questo intenso lavoro, ampiamente dimostrato dagli ultimi libri pubblicati in questi mesi, non abbia portato ad una maggiore comprensione della categoria fascismo.
Un eventuale lettore o semplice osservatore, potrebbe essere indotto, proprio per questo continuo revival di studi sul fascismo, a far proprio il giudizio espresso sul fascismo dallo storico americano Gilbert Allardyce, che così scrive: carica di emozionalità e priva di qualsiasi reale significato, la parola fascismo è una delle più usate e abusate del nostro vocabolario politico. Essa non significa virtualmente nulla.
A conferma di quanto scritto, con acutezza dallo storico americano, basta ricordare l’uso improprio ed estensivo del termine che hanno fatto i movimenti di contestazione degli anni sessanta-settanta e il progressivo disinteresse per studi comparativi sul fascismo di storici e politologi americani, forse perché considerato fenomeno prettamente europeo.
Il mai sopito interesse per il fascismo mussoliniano, impostosi con un’ascesa rapidissima nei turbolenti anni del primo dopoguerra, dopo aver conquistato il consenso di ampi strati di popolazione e, tornato prepotentemente alla ribalta dopo i risultati delle ultime elezioni, sono una ulteriore prova della mancata dissociazione di responsabilità degli italiani dal fascismo.
Per potersi considerare veri democratici, avrebbero dovuto abiurare Mussolini e il suo regime, come invece sarebbe accaduto in Germania con il nazismo, ma la verità è che l’abiura del fascismo non fu chiesta agli italiani e non fu chiesta proprio dai partiti antifascisti, da quei partiti che avevano dato una splendida prova delle loro virtù democratiche, prima con il confino dei loro migliori rappresentanti e poi con la lotta armata delle formazioni partigiane.
I partiti antifascisti non chiesero l’abiura del fascismo per una serie di ragioni che vanno dalla necessità di ottenere le migliori condizioni di pace possibile dai nostri vincitori, alla necessità di evitare che gli italiani potessero pensare che il loro antifascismo fosse solo di facciata, perché il segreto intento era quello di arrivare al governo del Paese. E questo spiega la mancata incriminazione dei criminali di guerra del Regio Esercito; nessuno di loro fu estradato per essere giudicato nei Paesi stranieri che ne avevano fatto richiesta.
Gli antifascisti, a cominciare da Gramsci e Togliatti, sapevano bene che il fascismo non era stato “l’invasione degli Hyksos“, come ebbe a definirlo Benedetto Croce, ma molto altro. Era stato un fenomeno specifico del nostro Paese, esito non scontato delle degenerazioni clientelari e trasformistiche del sistema politico e sociale, espressione di un capitalismo debole e di una borghesia in rivolta perché frustrata nelle sue aspettative sociali, delusa dalla guerra sulla quale aveva riversato risorse e aspettative e che le aveva invece sottratto uomini e mezzi economici, tenuta lontano dallo sviluppo tecnico-capitalistico. Esito tragico perché produsse un regime di violenza, di disprezzo della libertà che porterà l’Italia alla rovina.
I conti con il fascismo restano aperti perché l’abiura non c’è mai stata e mai ci sarà, specialmente con il ritorno prepotente in più di un paese europeo di regimi sovranisti e populisti.
Nella nostra Costituzione c’è la riprova della cautela con cui i nostri padri costituenti giudicarono il fascismo: è la dodicesima delle disposizioni transitorie finali. Il primo comma vieta “la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista “, il secondo comma, mai citato, parla di una legge apposita che dovrà in futuro stabilire “le limitazioni al diritto di voto e all’eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista” . Limitazioni temporanee, valide solo per un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, poi i responsabili del fascismo avrebbero potuto sedere tranquillamente in Parlamento come deputati o senatori.