Nel 1930 iniziò la sua carriera nell’amministrazione governativa americana venendo nominato supervisore del Censimento Federale a Manhattan. La sua attività fu particolarmente apprezzata a vari livelli, tanto che l’anno successivo il presidente degli Stati Uniti, Herbert Hoover, volle conoscerlo personalmente rimanendo positivamente colpito, tanto da affidargli l’incarico di commissario per l’emigrazione ad Ellis Island. E proprio su quest’incarico prestigioso cercheremo di soffermarci, tornando a quei giorni.
Il citato Secolo Illustrato sottolineò con gran rilievo l’avvenimento che “ancora qualche anno prima sarebbe stato inconcepibile”. Queste le sue prime dichiarazioni nell’assumere l’incarico “Io intendo umanizzare, trasformare Ellis Island da un luogo di umiliazioni e di pene, come era nel passato, in una vera casa dove delle volte si deve restare per mesi. Per essere severi non occorre essere crudeli, per essere energici basta essere giusti”. Evidentemente, nel rispetto delle leggi vigenti. Il periodo non era facile per le conseguenze del crollo di Wall Street, mentre solo quatto anni prima erano stati condannati a morte Sacco e Vanzetti. Il numero degli emigranti andava diminuendo rispetto agli anni precedenti, mentre c’erano limitazioni quantitative che erano state poste per l’ingresso degli italiani, discriminanti rispetto ad altri paesi. Una motivazione andava trovata nella convinzione, allora diffusa, che gli italiani fossero tra quelli che davano maggiore contributo alla criminalità. Una circostanza che fu smentita dal rapporto di una commissione di giuristi voluta dal presidente Hoover dal quale emerse che “gli italiani – tra gli emigrati – erano i migliori cittadini americani, sobri, laboriosi, e i più alieni da quelle forme di delinquenza che ora spandono così cattiva luce sull’America”. In quel periodo, mentre si riducevano i flussi ordinari, rimanevano in ogni caso quelli costituiti da donne e bambini che continuavano ad approdare ad Ellis Island “chiamati” dai capi famiglia già stabiliti in America.
Al termine dell’incarico Edward Corsi ritenne opportuno raccontare quella straordinaria esperienza pubblicando nel 1935 “In the Shadow of Liberty: The chronicle of Ellis Island”, edito da The Macmillan Company, New York, recante l’introduzione di Fiorello La Guardia, allora sindaco di New York, attestante la bontà dell’opera svolta dal commissario. Il libro è preceduto da un excursus della propria vita in cui non nasconde certo le origini abruzzesi, con richiamo alla figura del padre, al breve “esilio” in Svizzera e quindi alla partenza per gli Stati Uniti, all’approdo ad Ellis Island e l’adattamento alla nuova realtà. All’Abruzzo è dedicato il secondo capitolo.
“The Abruzzi was really all I knew of Italy” (L’Abruzzo era davvero tutto quello che sapevo dell’Italia), ammise Corsi, sottolineando come “quella terra selvaggia avesse dato all’Italia e al mondo personaggi come d’Annunzio, Croce, i Rossetti, De Virgili e Ovidio”. Esaltò gli scenari montagnosi della sua regione, dominati dal Gran Sasso e dalla Maiella, le origini medievali del suo paese, “posto tra L’Aquila e Sulmona”, e la storia di San Giovanni da Capestrano che gli raccontava suo padre. Nella sua memoria anche i pastori e, tra questi, gli improvvisatori (cantori e poeti a braccio). Del padre richiamò gli ideali politici sintetizzando l’impegno umano e politico in favore di contadini e operai, portato avanti anche attraverso la rivista “La Democrazia” da lui stesso fondata, seguendo i principi mazziniani e in contrasto con la monarchia. Si evince come egli stesso si sia ispirato sempre alla figura del padre Filippo, che una targa, posta dopo la Liberazione, ricorda tuttora, con queste parole, in piazza della Libertà a Pratola Peligna: “Trasse dalle idealità repubblicane, dall’affetto per i lavoratori, la fede e la forza per combattere il dominio delle oligarchie locali, per ridestare alla coscienza dei nuovi destini il popolo di queste terre“.
La gran parte del libro è in ogni caso dedicata all’emigrazione e soprattutto alla situazione di Ellis Island, quella trovata e quella migliorata grazie alla sua azione umanitaria. Colpisce il confronto, documentato fotograficamente, tra una grande camerata con numerosi emigranti dormivano ammucchiati su letti a castello disposti in continuità, a doppia piazza, e le nuove sale destinate all’accoglienza di madri con bambini. In un’altra immagine del 1933 si può notare Edward Corsi donare piccoli regali, in occasione del Natale, a bambini provenienti da vari paesi del mondo. Nelle pagine conclusive, Corsi ammise – mentre era intento a liberare il suo grande ufficio al termine dell’incarico – che “i suoi pensieri vagavano verso la lontana mattina di ottobre, di tempo fa, quando l’ombra della libertà aveva accolto l’arrivo della famiglia Corsi in America, e tutto ciò che era accaduto negli anni successivi”.
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