Un racconto corale, scritto da Ezio Burri, Carlo Cambi, Gino Cervi, Alessandro D’Ascanio, Luciano Di Martino, Paolo Di Paolo, Franco Farinelli, Elsa Flacco, Adriano Ghisetti Giavarina, GRAIM, Aurelio Manzi, Edoardo Micati, Lucio Taraborrelli, Lucio Zazzara
Sulmona. Si svolgerà giovedì 3 giugno alle 12:00 nello splendido scenario dell’Abbazia Santo Spirito al Morrone di Sulmona la presentazione del nuovo volume edito da Carsa edizioni, Maiella. Montagna madre.
A fare gli onori di casa il Presidente del Parco Nazionale della Maiella, il prof. Lucio Zazzara. Con lui Roberto Di Vincenzo, presidente Carsa, Carlo Cambi, giornalista, autore televisivo e uno degli autori del libro e Oscar Buonamano, direttore editoriale Carsa edizioni.
Il volume è il frutto di un lavoro corale che ha coinvolto ventisei autori e oltre quaranta fotografi. Gli autori dei testi sono Ezio Burri, Carlo Cambi, Gino Cervi, Alessandro D’Ascanio, Luciano Di Martino con Simone Angelucci, Antonio Antonucci, Marco Carafa, Marco Di Santo, John Forcone, Elena Liberatoscioli, Giuseppe Maurizio Monaco, Paolo Di Paolo, Franco Farinelli, Elsa Flacco, Adriano Ghisetti Giavarina, GRAIM (Roberto Di Paolo, Antonella Salomone, Gabriele La Rovere, Dino Di Cecco, Aurelio D’Urbano, Mariano Spera), Aurelio Manzi, Edoardo Micati, Lucio Taraborrelli, Lucio Zazzara.
La traduzione, il libro è in italiano e inglese, è di Angela Arnone.
Quarto, in ordine di tempo, della fortunata collana Heritage/Patrimoni, svela la straordinaria capacità di adattamento dell’uomo alla natura di questi luoghi. Una terra ricca di sorprese e di bellezza a cominciare proprio dalla conformazione stessa del territorio e delle sue modificazioni nel corso dei secoli testimoniata dalla presenza di numerose e immaginifiche grotte. La varietà straordinaria di flora e fauna e ancora la bellezza determinata dalla presenza dell’uomo e dagli artifici che ha saputo trasfondere come lo straordinario patrimonio architettonico che raggiunge vette sublimi negli Eremi che tanto hanno ancora da raccontare.
Il libro si apre con il capitolo scritto da Franco Farinelli, La necessità del mito, «Prima d’altro occhio alle stelle, per capire la Maiella. Anzitutto perché i modelli originari che ancora governano la nostra maniera di guardare e definire il paesaggio, e di conseguenza comprenderlo, sono ancora quelli dei marinai illirici e greci che risalivano l’Adriatico secoli e secoli prima di Cristo. Il nostro sguardo dipende ancora dal loro, per il quale era la linea di costa, con la sua forma, ad assegnare i nomi alle città, a fissare il primo ordine delle cose…».
Aurelio Manzi con Il paesaggio agrario ci accompagna in viaggio per scoprire la compresenza di diversi aspetti della sua natura. «La mole compatta e bastionata della Maiella, specialmente sul versante orientale che si affaccia sull’Adriatico, evoca con forza un mondo selvaggio, una natura ricca e prorompente. Forse potremmo considerarla, per la sua posizione a ridosso del mare e per la straordinaria ricchezza della flora, il «Giardino pensile del Mediterraneo». Ma la montagna richiama anche un mondo fatto di silenzio, spiritualità, preghiera che ne fanno una delle più importanti montagne sacre del Mediterraneo europeo unitamente al Gargano, ai monti Olimpo, Parnaso e Athos in Grecia.
La Maiella, però, è anche il luogo della fatica, dell’immane lavoro dell’uomo, di generazioni di contadini e pastori che si sono avvicendate su questa terra per trarne l’amaro e profumato pane della vita…».
Elsa Flacco e Lucio Taraborrelli, La prima Italia, ci raccontano l’origine del nome della nostra nazione: l’Italia. «Italia, Itali, Viteliu. L’origine del nome Italia è dibattuta da millenni: già gli storici antichi si accapigliavano sul significato di questa parola così leggiadra anche nel suono. Le certezze sono davvero poche e riguardano più che altro l’area di pertinenza del termine. Nel VI secolo a.C. era indicata con il nome Italia la punta dello stivale, quella che oggi chiamiamo Calabria; nei secoli tra il V e il III, il termine si sarebbe esteso a tutta l’Italia meridionale, per arrivare via via a comprendere, parallelamente alle conquiste di Roma, l’intera penisola fino all’Arno e al Rubicone, e successivamente fino alle Alpi…».
Edoardo Micati, Gli Eremi e Celestino V e Pietre, pastori e briganti, ci porta sulla strada percorsa dai briganti e ci informa sull’origine degli Eremi. «Sulla catena appenninica molte zone si sono rivelate adatte all’isolamento di piccole comunità: alcune di queste poi si sono sviluppate tanto da portare alla creazione di monasteri di una certa importanza. Occorre chiedersi cosa aveva favorito la presenza eremitica in un luogo piuttosto che in un altro. La condizione fondamentale per la sopravvivenza di queste comunità si basava essenzialmente sul fatto che il piccolo gruppo di religiosi giunti da lontano, pur rimanendo isolato nei luoghi più impervi, non fosse completamente separato dalle popolazioni locali delle quali aveva un estremo bisogno per la propria economia…».
Ezio Burri, Le grotte tra morfologia e stagioni dell’uomo, ci fa scendere nelle viscere della terra per comprenderne la sua origine. «La linea appenninica che attraversa tutta la penisola, nella sua parte mediana segna un’improvvisa cesura, generata dal massiccio della Maiella. Per la sua natura carsica, è profondamente segnata da fessure, meati e vacui che formano un complesso reticolo e non permettono all’acqua di soggiornare a lungo in superficie. Superate le fasce più basse, dove vegetano ampie boscaglie, già sui pianori il paesaggio muta con una presenza di calcare grigiastro, a tratti rotto da ampi pascoli. Di varia grandezza, la roccia, nei frammenti generati anche dal perenne ciclo del gelo/disgelo, emerge dissipata sui campi ma la paziente opera dell’uomo per strappare terra coltivabile alle sue balze l’ha utilizzata per creare terrazzamenti, muri a secco, maceri, capanne…».
Alessandro D’Ascanio, Un’epopea industriale durata un secolo, narra la straordinaria vicenda dell’industria legata al petrolio e al bitume. «Le giaciture d’asfalto e bitume sul versante settentrionale della Maiella sono note e usate sin dalla Protostoria, ma il loro sfruttamento industriale si avvia soltanto nel secondo Ottocento postunitario. La vicenda, caratterizzata da storie d’impresa, lotte sociali, interventi dello Stato, rottura di equilibri ecologici, trasformazioni antropologiche nelle comunità locali, ha caratteri assolutamente moderni, di rottura rispetto agli equilibri di una montagna dai persistenti tratti pastorali. È infatti solo con l’esordio della coltivazione mineraria che trova robustezza un’ipotesi di sviluppo economico della Maiella che, sul piano storico, potrebbe essere articolata in cinque distinte fasi: il tempo dei pionieri nella seconda metà del XIX° secolo; il decollo industriale nell’età giolittiana; il primo intervento dello stato nel corso della Grande guerra; la vicenda della SAMA negli anni venti-trenta; il tentativo originale di razionalizzazione condotto dal regime fascista con la costituzione della società pubblica denominata ALBA nei primi anni quaranta…».
Roberto Di Paolo, Antonella Salomone, Gabriele La Rovere, Dino Di Cecco, Aurelio D’Urbano, Mariano Spera, per il GRAIM – Gruppo di Ricerca di Archeologia Industriale, ci informano su Le miniere abbandonate della Maiella. «Le prime tracce di utilizzo del bitume estratto dalla Maiella risalgono al 4.700 a.C.: alcune ceramiche rinvenute nella Grotta dei Piccioni
a Bolognano, mostrano infatti che venne usato come collante per la loro riparazione. Altre testimonianze arrivano da reperti di epoca Italica, riportati alla luce in prossimità delle vene di bitume ed asfalto di Val del Corvo. Poco distante, in Valle Pignatara, oggi tra Manoppello e Lettomanoppello, il ritrovamento di un panetto in pietra rivestito di bitume recante una stampigliatura in latino, ha rivelato la prima testimonianza di sfruttamento commerciale…».
Adriano Ghisetti Giavarina, L’architettura come costruzione della cultura di un territorio, parte proprio dall’abbazia di Santo Spirito del Morrone per illustrare le bellezze architettoniche di questo territorio. «Ci vorrebbe la scrittura di Cesare Brandi, il suo efficace modo di descrivere e di evocare, nel condurre il lettore di queste pagine alla scoperta dello straordinario patrimonio architettonico che sta magnificamente in armonia con il paesaggio dei versanti della Maiella. L’avvio di questo percorso potrebbe aver inizio dall’abbazia di Santo Spirito del Morrone, presso Sulmona, attuale sede della direzione del Parco Nazionale della Maiella. Ma anche eccezionale scrigno dalla imponente facciata di carattere tardo rinascimentale che non lascia immaginare il fronte della chiesa all’interno del cortile: con il suo ondulato barocco essa infatti riproduce fedelmente le linee della facciata del San Carlo alle Quattro Fontane di Borromini, mentre al suo interno riecheggia la spazialità, ancora tutta romana e barocca, della chiesa dei Santi Luca e Martina di Pietro da Cortona. Né le sorprese sono finite, perché a un livello sottostante il piano della chiesa morronese sussistono preesistenze gotico-angioine che comprendono la cappella Cantelmo-Caldora, nascosto scrigno nello scrigno, con opere di scultura e pittura dei primissimi anni del Quattrocento…».
Carlo Cambi, Tra Mila e la natura. L’origine del sublime, inebria con la sua scrittura circolare per raccontare della bontà dei frutti della terra e della cultura della vita che li accompagna, «S’espande nel ricordo l’eco di quest’orazione dolente all’olio che è santo, che è luce, medicamento e nutrimento. Guizza l’ultima fiamma e muore a indicare un infausto presagio. Ancora sento la voce di Piera degli Esposti graffiante, disperante, flautata come le canne di Pan che dà vita nella scatola magica del teatro a Mila. Era un tempo assai remoto e assai migliore quello da cui affiora l’immagine dei seni ansanti di questa “felina da palcoscenico”. Era quella un’edizione un po’ particolare de La Figlia di Iorio, voluta dallo Stabile dell’Aquila (teatro di profonda ricerca e di centralità mai abbastanza affermata) e affidata a Giancarlo Cobelli che la lesse in chiave eretica, con costumi e ambientazioni borghesi…».
Gino Cervi, Blockhaus 1967: l’epifania di Eddy Merckx, fa rivivere le emozioni che attraversano il cuore di tutti gli amanti del ciclismo, proponendo la nascita del mito di Eddy Mercks, «Mercoledì, 31 maggio 1967. Al Giro d’Italia, edizione del Cinquantenario, si corre la Caserta-Blockhaus, 206 km e tre Gran premi della Montagna – il Macerone, 684 m; Rionero Sannitico, 1051 m; Roccaraso, 1236 m – prima di tagliare il traguardo ai 2005 m. della vetta del Blockhaus. È la prima volta che la Corsa rosa arriva sul punto più alto dell’altipiano della Maiella, da cui, nei giorni buoni, uno sguardo può abbracciare Appennino e Adriatico: le creste del Gran Sasso a nord-ovest; più a occidente i monti del Morrone e il solco del vallone dell’Orfento; a sud, verso il massiccio del Sirente-Velino, le Murelle, il monte Focalone e la cima del monte Amaro, seconda per altezza (2793 m) di tutta la dorsale appeninica; e, volgendo a oriente, l’arco allungato della costa dal Conero al Gargano fino, se l’aria è tersa e ventosa, alle Tremiti e alla costa dalmata…»
Paolo Di Paolo, Montagna magica, con un racconto inedito propone l’origine del mito, «Prima di tutto, dovete pensarla d’inverno. Dovete pensare alla neve, a tutta la neve possibile, la neve sotto cui la terra riposa, alle grandi interminabili nevicate, alle bufere di neve.
(Lei, da sempre, era legata a quei luoghi d’estate).
Dovete immaginare una tremenda notte di burrasca in cui la zattera di Ermes a approda a Ortona.
(La frase, detta così, la fa quasi scoppiare a ridere. Una divinità che approda nel suo paese natale – e perché proprio lì? Fra tutti i luoghi del mondo, questo. Ermes che approda dove lei è cresciuta,
magari a pochi metri da casa di sua nonna, o dalla gelateria, dalla scuola guida, dal posto dove si è baciata l’altro giorno con uno che non si chiama Ermes, ma magari un po’ gli somiglia, veloce com’è, furbo, bello come il sole, un gigante, spalle larghe, un semidio)…»
Lucio Zazzara, Proteo e Sisifo, con dissertare a tratti poetico c’informa del Parco Nazionale della Maiella, «Il Parco Nazionale della Maiella comprende una vasta area montuosa dell’Appennino Centrale, di circa 740 km2. Una montagna compatta, articolata in cime e valloni; dolce e sinuosa verso occidente; scoscesa e aspra verso oriente. A causa della sua complessa storia geologica si configura con una morfologia piuttosto varia. Boschi ricchi d’acqua caratterizzano l’ampia depressione tettonica di Caramanico, che separa ad est il dolce profilo arrotondato della Maiella dall’impervia ripida pendenza del Morrone, ad ovest. Altopiani nudi e boscosi, simili a distese lunari, si stendono tra le sommità, come la Valle di Femmina Morta, modellata dal movimento del ghiaccio che molto tempo fa ricopriva le parti più alte del massiccio…».
Luciano Di Martino con Simone Angelucci, Antonio Antonucci, Marco Carafa, Marco Di Santo, John Forcone, Elena Liberatoscioli, Giuseppe Maurizio Monaco, Parco Nazionale della Maiella, tra uomo e natura, c’informa della flora, della fauna e delle tantissime attività che il Parco Nazionale della Maiella svolge. «L’Ente Parco per la conservazione ex situ della biodiversità vegetale, in attuazione all’articolo 9 della Convenzione di Rio de Janeiro sulla Diversità Biologica, si avvale di due giardini botanici (Giardino Botanico Michele Tenore a Lama dei Peligni e Daniela Brescia a Sant’Eufemia a Maiella), di una banca dei semi (Maiella Seed Bank), per le attività di raccolta, studio e conservazione dei semi delle specie selvatiche al fine di tutelare i taxa minacciati archiviandone il patrimonio genetico, di un vivaio per la riproduzione delle specie vegetali autoctone e di un erbario (Herbarium Magellense) per lo studio della flora…».
Caratteristiche tecniche del volume
MAIELLA. Montagna Madre
Pagine: 204
Formato: 26 x 28,5 cm
Testi: italiano + inglese
Illustrazioni: 250 illustrazioni, a colori e b/n
Confezione: rilegato con copertina rigida illustrata a colori
Prezzo: € 49,00
ISBN: 978-88-501-0403-1