Pescara – Intitolata oggi a Norma Cossetto l’area verde in Piazza Italia, antistante Palazzo di Città, la scelta dell’Amministrazione cittadina però non è stata gradita dall’ANPI locale che la ha fortemente criticata.
«Per non dimenticare il martirio di Norma Cossetto, una brava ragazza dell’Istria, studentessa universitaria, catapultata in poche ore dai sogni sul futuro alla fine più orrenda, in un inferno inimmaginabile. Morì vittima della più disumana degenerazione della violenza, torturata, barbaramente abusata dopo essere stata legata a un tavolo con del filo di ferro, prima di essere gettata in una foiba. Fu uccisa dai partigiani di Josip Broz, passato alla storia come Maresciallo Tito, nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943.» Con queste parole l’amministrazione ha ricordato quanto accadde 77 anni fa e in occassione dei 100 anni dalla nascita della vittima intitolando quegli spazi verdi “Giardini Norma Cossetto”.
L’iniziativa “Una Rosa per Norma” – vittima della violenza degli uomini e della guerra – ha preso le mosse dalla mozione proposta all’assemblea civica cittadina dai consiglieri comunali Carota, D’Incecco, Foschi e Salvati e sostenuta dal sindaco Carlo Masci e dal presidente del Consiglio comunale Marcello Antonelli. Presente alla cerimonia di questa mattina anche il presidente del Consiglio Regionale, Lorenzo Sospiri.
L’ANPI “Molte donne sono morte in quella guerra, i giardini di piazza Italia andavano intitolati ad esse”
Quanto avvenuto questa mattina non è stto gradito dall’ANPI, infatti il Comitato provinciale “E. Troilo”ANPI e la sezione “Giuseppe e Renato Gialluca” di Pescara in una nota congiunta lo definiscono “ennesimo atto di “bullismo politico” dell’amministrazione comunale di Pescara, che si inserisce nella strada già tracciata da altre discutibili “iniziative culturali” tese a riabilitare un passato di cui c’è poco da gloriarsi».
L’associazione dei partigiani fa sapere che non mette in discussione il fatto che l’omicidio di Norma Cossetto rappresenti un crimine e che come tale va condannato; ma chiede una lettura attenta del contesto in cui maturò quella tragedia, «contesto che, come nella migliore rappresentazione del mito che vede gli italiani sempre buoni e vittime, viene semplicemente “dimenticato”. Non contestualizzare non è mai buona norma: ed allora andrebbe aggiunto che in quelle zone l’occupazione nazista e fascista fu tutt’altro che tenera, toccando punte di violenza inaudita, e che quell’occupazione non fu richiesta nè voluta dalle popolazioni autoctone».
L’ANPI dà ragione al Sindaco quando sostiene che “non possiamo più minimizzare né ignorare il passato” e che dobbiamo conoscere la storia anche quando non ci piace; siamo d’accordo che non si può abbassare la guardia a difesa della libertà e della democrazia; «siamo d’accordo –conviene l’associazione partigiani–che libertà e democrazia sono valori da condividere e da non mettere mai in discussione. Ma bisognerebbe sapere che libertà e democrazia non fanno parte del bagaglio culturale e ideologico del fascismo e dell’Italia fascista che scatenarono la guerra e si macchiarono di una infinità di nefandezze. Quando l’8 settembre 1943 ci fu il crollo delle amministrazioni civile e militare, che determinarono la morte della patria nell’accezione fascista, fu tempo di scelte: non si può mettere sullo stesso piano gli italiani che optarono per il nazifascismo e gli altri che lo combatterono».
Secondo l’ANPI, seppure senza colpe, Norma Cossetto rappresentava (o veniva percepita come tale) una parte ben definita, «la stessa che oggi e da anni brandisce la tragedia delle foibe e dell’esodo per parificare torti e ragioni ripetendo la litania della pulizia etnica e dell’italiano sempre vittima e mai colpevole di nulla. La guerra è la peggiore sciagura che possa investire interi continenti; ma ha una genesi, una sua storia, una responsabilità. Molte donne sono morte in quella guerra, giovani e meno giovani, sempre italiane ma non identificabili con la parte politica che la guerra l’aveva voluta. I giardini di piazza Italia andavano intitolati ad esse».