L’AQUILA – Si fa un gran parlare, in questo torno di tempo, di sovranismo, nazionalismo, populismo. Si attribuiscono questi predicati a questa o a quella forza politica, a questo o a quel leader. In realtà, come spesso avviene in questa nostra epoca caratterizzata dalla tendenza all’approssimazione culturale, si ripetono termini di cui non si conosce il preciso significato. Si impone un po’ di chiarezza: la terminologia politica, come quella giuridica, pretende di essere rigorosa. Max Weber (1864-1920), insuperato scienziato sociale, sostiene che la ricerca, anche in campo sociale, ha da compiersi «sine ira et studio», cioè in maniera avalutativa, condizione, questa, perché si realizzi un altro principio, quello del «conoscere per deliberare».
Non è vero ciò che si sente ripetere ogni giorno anche in organi di stampa cui si attribuisce un certo livello culturale, vale a dire che il sovranismo è la moderna versione del nazionalismo. Affermarlo può essere solo frutto di pigrizia mentale. Il cosiddetto ‘sovranismo’ ha, sostanzialmente, una dimensione difensiva: afferma l’idea che può essere esemplificata con l’espressione «Ciascuno deve essere padrone a casa sua». Si può trattare dunque di una rivendicazione di patriottismo economico o, nell’accezione peggiore, di egoismo nazionale, quella posizione politica che si sente giustificare con affermazioni del tipo: «In fondo ciascun paese guarda ai suoi interessi». Il sovranismo propriamente detto non è aggressivo, semmai è esclusivo.
Il nazionalismo, invece, così come lo abbiamo conosciuto nel secolo scorso, non si limita ad affermare che ciascuno deve essere padrone a casa sua, ma esprime, in maniera più o meno esplicita, una sorta di superiorità morale della propria nazione, accampando ragioni di rivendicazione storica o rifacendosi ad una missione che la nazione ha da compiere in un contesto più o meno ampio. Il nazionalismo possiede sempre una spinta espansiva, o, se si vuole, una tendenza aggressiva, che il ‘sovranismo’ non ha. Questo non significa, evidentemente, che il ‘sovranismo’ sia in sé un bene, ma, semplicemente, che non è corretto, per le ragioni dianzi richiamate, attribuirgli tendenze e obiettivi che la sua natura non include. Un conto è contestare il cosiddetto ‘sovranismo’ sotto l’aspetto della opportunità politica o della efficacia economica, altro è demonizzarlo sul terreno della legittimità morale.
Una considerazione chiarificatrice si impone anche sul ricorrente termine di ‘populismo’. Sul piano storico il termine è legato alla tradizione del socialismo rivoluzionario russo, che si sviluppò in gran parte nelle campagne nella seconda metà dell’Ottocento. Il movimento esercitò un certo fascino su molti giovani russi appartenenti alle classi privilegiate. L’espressione «andare verso il popolo» prese così ad indicare a volte, per quei giovani, una sorta cammino di redenzione.
Alla fine dell’Ottocento, negli U.S.A., si chiamò populista un partito che negli stati a vocazione agraria difendeva gli interessi dei contadini, si batteva per un sistema fiscale su base progressiva e ottenne, nei primi anni del Novecento, l’elezione diretta dei senatori. Questo riguardo alla sua origine. In riferimento al Novecento il termine ‘populismo’ è passato ad indicare soprattutto l’azione politica dei movimenti di estrema destra, cioè di quelle forze politiche di ispirazione neo-cesarista (termine che fa riferimento alle esperienze politiche dei due Napoleone in Francia) che, all’indomani dell’ingresso nell’agone politico delle masse popolari come conseguenza dell’allargamento della base elettorale, intendevano rappresentare gli interessi di quello che definivano « il popolo vero » ; e questo sia in contrapposizione alla rivoluzione socialista, sia in alternativa alla democrazia liberale.
Il termine ‘populismo’ non è da confondere con un altro termine cui spesso viene associato, cioè ‘demagogia’, anche se nella realtà politica si tratta di parenti stretti. Per demagogia deve intendersi più propriamente la tendenza di una forza politica a raccogliere un facile consenso attorno a temi di immediato interesse di una categoria o classe sociale senza tenere in debito conto l’interesse generale della società. Se volessimo semplificare, potremmo dire, sulla base dell’esperienza storica, che, in riferimento al Novecento, mentre il populismo, almeno in Europa, ha albergato soprattutto a destra, la demagogia è stata presente anche a sinistra. Insomma: è importante muovere da premesse corrette per pervenire a conclusioni corrette. Lo richiede l’onestà intellettuale.
Leggendo alcuni giornali, e ancor più ascoltando certe trasmissioni televisive, mi viene a volte da pensare che aveva ragione Benedetto Croce (1866-1952) quando, sul finire degli anni venti, in alternativa al trionfante vitalismo, esortava a tornare a studiare. Si corre il rischio, volendo parafrasare Hegel (1770-1831), di evocare una notte in cui tutte le vacche ci sembreranno nere. Le analisi politiche, come i giudizi storici, non devono essere fatte con l’accetta: la capacità di distinguere (è ancora “Don Benedetto” che ce lo insegna) è alla radice della libertà; e la faziosità è sempre, in un modo o nell’altro, figlia dell’ignoranza.