Pescara – Era già accaduto due anni fa, in questo stesso periodo dell’anno: allora le tartarughe coinvolte furono nove, tutte della specie Caretta caretta, otto delle quali (88,9%) morte, tutte trovate sulle spiagge abruzzesi nella giornata del 7 gennaio. Quest’anno il fenomeno si è ripetuto, con numeri ancora peggiori: nella prima settimana del 2019, più esattamente dal 4 al 6 gennaio, segnalate da privati cittadini e dal personale della Guardia Costiera, lungo le coste d’Abruzzo e Molise sono state rinvenute in totale 19 tartarughe, 14 decedute (73,7%) e 5 in vita.
Su 4 animali sono stati riscontrati i segni di interazioni antropiche quali intrappolamento e lesioni dovute a eliche o ami. Gli spiaggiamenti sono avvenuti durante una perturbazione meteorologica che ha causato forti mareggiate, che individui giovani e in difficoltà non sono stati in grado di fronteggiare. Come previsto dalla rete regionale per lo spiaggiamento di cetacei e tartarughe, gli interventi sono stati condotti dal personale del Centro Studi Cetacei, in collaborazione con i Servizi Veterinari delle ASL e dell’ASREM, la Guardia Costiera e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise.
I volontari del CSC, con la collaborazione di esperti della Societas Herpetologica Italica, hanno eseguito i rilievi biometrici su tutte le tartarughe segnalate, e trasferito quelle ancora vive al Centro Recupero Tartarughe Marine “L. Cagnolaro” di Pescara. Gli animali ricoverati sono stati visitati dal personale medico veterinario del Centro e hanno ricevuto le prime immediate cure; posti sotto osservazione, sono stati poi soggetti ad analisi ematiche e radiologiche. Le 5 tartarughe attualmente presso il CRTM sono una subadulta e quattro giovanissime, due delle quali presentano segni di interazione con strumenti di pesca.
Non sono numeri da record assoluto, ma si tratta comunque di cifre significative. La spiegazione è sempre la stessa: «Le tartarughe – chiarisce il dr. Vincenzo Olivieri, direttore del Centro Studi Cetacei di Pescara, che si occupa appunto di cetacei e di tartarughe marine – sono state vittime dell’intenso sforzo di pesca che ha caratterizzato le giornate che hanno preceduto le feste di fine anno. Il mare grosso di questi giorni ha fatto sì che le onde abbiano trasportato a riva gli individui in cattive condizioni fisiche e quelli deceduti, che non sono ovviamente in grado di resistere alla violenza delle mareggiate. Un fenomeno purtroppo non inconsueto: soprattutto in Adriatico il nostro Centro registra da anni una intensificazione dei ritrovamenti nelle fasi di maggiore pressione della pesca».
La casistica del resto parla chiaro: gran parte delle tartarughe ritrovate morte sulle spiagge italiane hanno perso la vita perché restano impigliate nelle reti (sia quelle da pesca attiva sia quelle “fantasma” che abbondano sui fondali) e non riescono a tornare in superficie per respirare. In altri casi inghiottono ami o si cibano di materiali plastici scambiati per cibo mentre non sono infrequenti gli urti accidentali con i natanti.
Nel caso della moria dell’Epifania, come sono stati definiti l’evento del 2017 e quello dei giorni scorsi, la causa più probabile resta la pesca. Le tartarughe senza vita spinte a terra dal mare grosso saranno, quanto meno gli esemplari meglio conservate, sottoposte ad esame necroscopico per accertare le cause di morte, ma secondo gli esperti non ci sono molti dubbi. I cinque individui trovati vivi sono oggi ricoverati nelle vasche del Centro recupero, in cura, in attesa del ritorno in mare nei prossimi mesi.
«Caretta caretta – osserva il delegato regionale del WWF Luciano Di Tizio – è una specie prioritaria inserita nella Direttiva Habitat e protetta da diverse convenzioni internazionali. Invochiamo da anni che venga varata una normativa nazionale idonea a valorizzare e premiare gli sforzi dei tanti volontari che si danno da fare per la salvezza delle tartarughe marine e che preveda linee guida obbligatorie per la tutela di questo magnifico gigante dei mari, anche normando la pesca, come anche molti professionisti del settore ormai chiedono a gran voce, per tutelare il mare e alla lunga la loro stessa attività, nell’interesse di tutti».