«Lodevoli sono le iniziative che le associazioni di familiari in collaborazione con i maggiori esperti in autismo intraprendono il 2 aprile in tutto il mondo per raccontare le esperienze, le buone prassi, per favorire raccolte fondi, per diffondere la cultura della neurodiversità ma anche per alzare la voce e palesare le problematiche che le persone autistiche e i loro familiari sono costrette a vivere.
Per creare l’occasione di un’analisi critica è tuttavia necessaria un’azione più ampia del lancio dei palloncini e dell’illuminare i monumenti di blu: l’autismo ha una tale diffusione e costi sociali ed economici cosi alti che, per il benessere di tutta la società, è fondamentale ed urgente riconoscerne la problematicità e attuare opportune strategie.
La Legge nazionale 134 del 2015 sull’autismo, l’inserimento nei Lea, le Disposizioni regionali in materia di Autismo del 2017 e le raccomandazioni presentate dalla comunità scientifica nelle Linee Guida nazionali e internazionali hanno creato un nuovo punto di partenza per regolamentare quanto riguarda l’autismo.
Ma non è sufficiente esplicitare quali siano i trattamenti efficaci e in che misura: la questione più spinosa ed ancora neanche lontanamente risolta rimane trovare il modo migliore per organizzare il trattamento intorno alla persona, mettere cioè in atto una reale e non solo teorica presa in carico dell’autismo.
E’ diventato improrogabile dare risposte concrete: ricordiamo che l’autismo è una delle principali cause di disabilità permanente, con disabilità intellettiva nel 50% dei casi e disturbi in comorbilità nel 70% (disturbi del linguaggio, disturbi motori, disturbi del sonno, ansia, depressione, disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, epilessia ed altri) per cui altissimi sono i costi di sostegno e la mancata produttività che le nazioni devono sostenere.
Per quanto si dica che l’Abruzzo sia una Regione all’avanguardia in termini di copertura dei servizi per l’autismo, queste affermazioni rimangono parole al vento, confermate da buone prassi in una percentuale bassissima di casi che non bastano a garantire a tutte le persone autistiche un’adeguata presa in carico cosi come imposto dalla legislazione nazionale.
La sanità regionale ha il compito di rinnovare i trattamenti storicamente prescritti, ora non conformi alle nuove direttive: se già sappiamo che è una grave responsabilità continuare prescrivere scarse ore di logopedia e psicomotricità, dobbiamo insistere sull’evidenza che è altrettanto grave e colposo negare un trattamento precoce, specifico, strutturato, multidisciplinare, intenso (di almeno 20 ore settimanali), in rete con la scuola, i genitori e la società dei cosiddetti neurotipici.
Siamo coscienti di quanto sia difficile garantire in tempi brevi l’avviamento di attività specifiche per l’intera popolazione autistica ma crediamo che il vero rispetto che merita l’autismo possa essere dimostrato dal sistema sociosanitario solo assumendosi le responsabilità sulla presa in carico delle persone autistiche, al fine di trasformare i vecchi modelli terapeutici e gestire clinicamente la persona autistica con nuove prospettive, senza scaricare ad altri le responsabilità di problemi locali irrisolti, senza la sfrontatezza di chiedere alle famiglie di “aprire i portafogli” per prendersi cura da sole dei propri figli autistici, senza esibire problemi di bilancio o di età come criteri di accesso e di prosecuzione alla riabilitazione.
La Regione rimane inadempiente nell’offerta in termini qualitativi e quantitativi e le famiglie sono poste in condizioni intollerabili: il panorama delle terapie possibili è frammentato, mancano programmi educativo-riabilitativi multidisciplinari di 5 giorni a settimana per tutto l’anno e le famiglie, depauperate e consumate, intraprendono azioni legali contro le ASL per il riconoscimento della “presa in carico” negata.
Questo è il triste quadro evidenziato per il 2 aprile del 2018.
E’ arrivato il momento di mettere in atto i cambiamenti e, come suggerito dalla fervente comunità scientifica, chiediamo che il sistema riabilitativo e sociale garantisca la presa in carico attraverso l’adattamento dell’ambiente fisico e sociale alle esigenze della persona autistica, l’organizzazione del supporto alle famiglie, una programmazione terapeutica relativa a tutte le aree di compromissione della persona nello spettro, l’intervento sulle comorbilità spesso mascherate dalle stesse manifestazioni dell’autismo, l’accompagnamento nella transizione nell’età adulta e la prosecuzione del sostegno durante tutta la vita perché, come ormai è noto, chi nasce autistico lo rimane per sempre.
L’autismo non è curabile ma “prendere in carico” l’autismo è un dovere civile e morale della politica, delle amministrazione e della società in toto.
Non è la famiglia da sola o la persona autistica che deve prendersi cura di sè, come purtroppo decantano slogan auto-legittimati, scorretti e fuorvianti che dimostrano quasi una resa del sistema socio-sanitario che invece dovrebbe soluzioni riabilitative scientificamente valide, sostenibili e autism-friendly, ovunque.
Ognuno faccia la sua parte!»