L’ASD Pescara nella persona del Presidente Danilo Iannascoli e’ vicina alla famiglia del N9 di San Paolo e comunica di aver sospeso gli allenamenti della prima squadra in segno di Rispetto. Così si legge in una nota del clu biancazzurro: “Riposa in pace Negao. Ti vogliamo bene”.
11 giugno 2015, gara 4 di finale scudetto, Rogerio Rocha da Silva s’incammina verso il dischetto. I pochi secondi che separano il Pescara dalla gloria, per noi comuni mortali, assumono il peso di un tempo interminabile, sono fotogrammi al rallenty imprigionati nella follia di un’assurda routine. L’ansia terribile e incontrollata di vedere sfumare tutto il lavoro di un anno in un atto avulso dalla battaglia senza respiro che si è combattuta sul campo, ha ormai preso il sopravvento e domina la scena. La paura accompagna anche i guerrieri più consumati, nessuno di loro ne è immune. Si racconta che persino Alessandro Magno, il più indomito dei condottieri, alla vigilia delle battaglie innalzasse sacrifici a Fobos, figlio di Marte e dio della paura. La tensione è alle stelle, confondendo la mente di tutti, tranne fortunatamente quella di Negao che sembra quasi sfrontato nella sua apparente indifferenza. Il suo corpo statuario è decontratto, i suoi gesti sono naturali, spontanei: piazza la palla sul dischetto, si defila leggermente sulla destra per calciare di sinistro, caracolla in una rincorsa sciolta e infine batte di piatto. Timm è un gigante, la porta è piccola, ancor più piccola del solito … maledizione. Ma questa volta il portiere del Kaos non ha scampo, battezza lil lato alla sua sinistra, immaginando una botta ad incrociare ed invece è ingannato sino quasi alla beffa. La palla calciata con infinita dolcezza s’infila nell’angolo alto alla sua destra. Timm è spiazzato, il Kaos è battuto. Sono le 22.19 ed è scoccata dal sinistro di Rogerio l’ora del trionfo, il Pescara per la prima volta nella sua storia è Campione d’Italia.
23 agosto 2017, qualcuno, non ricordo chi, eppure sono passate solo poche ore, m’informa che l’eroe di quel giorno è morto, colto da improvvisa e inesorabile apoplessia, mentre trascorreva gli ultimi giorni di vacanza nella sua San Paolo. La prima reazione consiste nell’incredulità, la seconda nello sconforto. Noi umani rifuggiamo l’idea della morte sino al momento in cui ci sfiora e ne avvertiamo l’alito acre e immondo ma di certo siamo ancor più fortemente colpiti, quando ad andarsene, improvvisamente, è un atleta. Inconcepibile sino alla follia è per noi il mistero dell’incoerente accompagnarsi dell’esuberanza fisica e della sua insospettabile fragilità. Nella morte di Rogerio questa incoerenza si esalta ed è per questo che ancora più assurda e ingiusta ci appare la sua scomparsa. Ci vorrà tempo, molto tempo, per lenire questo dolore, per sanare questa ferita e farsene una ragione, come si usa dire in un linguaggio ordinario ma in questo caso incisivo. Fino ad allora ci porteranno conforto le immagini della memoria, che ci legano a quest’uomo semplice, gentile e generoso, e insieme a loro quelle parole di Seneca, che recitano: “Mai può dirsi infelice colui al quale è facile morire”.
Noi che abbiamo conosciuto Rogerio siamo grati a Dio che ce lo ha fatto amare. Addio Negao, crediamo perché assurdo.