Gianfranco Zazzeroni, dopo le importanti mostre effettuate in Toscana, a Firenze Palazzo Medici Riccardi, e a Palazzo dei Priori di Volterra, espone per la seconda volta nella città di Viterbo, scrive Sara Catanese, risale al 2012 la sua prima personale presso il Polo Monumentale Colle del Duomo di Viterbo, occasione nella quale ho potuto apprezzare la raffinatezza della sua ricerca artistica. Pittore esperto e sapiente incisore, le sue creazioni sono scontri che diventano incontri; la sua è una pittura “musicale” che non di rado arriva a toccare le corde del nostro intimo. Di lui scrive Archeoares S.n.c. che ormai da diversi anni si occupa di dare spazio all’arte, aprendo le porte del Museo Colle del Duomo all’estro di diversi artisti “È un grande piacere, quest’anno, inaugurare il calendario mostre 2017 con Gianfranco Zazzeroni e la sua “Pittura come immagine sublimata del pensiero”.
Il testo che segue è una sintesi della presentazione di Bruno Paglialonga, critico e storico dell’arte, che ha presentalo l’artista Zazzeroni nel catalogo della mostra.
”L’autore, urbinate d’origine, formatosi alla cultura delle belle arti di tradizione antica e a quella della grafica moderna (di questa seconda ha esercitato il magistero per quarant’anni presso le scuole statali), coltiva legittime ambizioni ed aspirazioni e, attingendo dalla propria soggettività, dalla fonte delle personali motivazioni e suggestioni, si propone di dar vita e divulgazione a raffigurazioni complesse d’una oggettività secondo i casi ambigua, allusiva, arcana, sibillina. Vivaddio se l’ambiguo nelle arti è vitale!
La pittura, come si sa, è “figura di pensiero”. E il pensiero di Zazzeroni si manifesta lineare e diretto, coerente, scevro da orpelli, pronto a considerare questioni contingenti, esistenziali, spirituali. A volerlo appena osservare nella fase inventiva, seguirlo dentro il vortice delle sensazioni e delle emergenze emozionali, si può d’acchito supporre costituito di sostrato di tipo astratto, ossia non dispiegato ad elaborare sul piano estetico proposizioni logico-razionali, né pretenziosi azzardi scientifici. Peraltro è plausibile che ammetta influssi onirici (vedere, per esempio: Prigioniero del sogno, 2008; L’isola dei sogni, 2008; Il sogno come incantesimo della vita, 2009; Frammenti di un arcobaleno notturno, 2011; Il castello dei sogni, 2014; La foresta dei sogni, 2016). Nondimeno, vi si ravvisano, quali rassicuranti punti di forza, il fattore simbolico e quello metaforico, dialoganti, asserviti alla concreta narrazione o all’esposizione dell’idea figurale (Il flusso della vita, 2015; L’isola che è dentro di noi, 2008; Il fuoco dell’amore, 2014; La speranza oltre il dolore, 2014; Il magma della vita, 2009). A denotarne la poetica, in contesti unici o plurimi, in effetti coesistono l’aspetto astratto-aniconico e il realistico, i cui antitetici linguaggi corrispondono ad opposti modi dell’espressione.
In tutti i casi, la simbiosi tra forma e colore dell’immagine, nel continuo loro cangiare, dà il segno distintivo dell’autore urbinate: non naturalistico, seppur evocativo d’ambienti, paesaggi, metamorfosi, situazioni di questo mondo, sognati, vagheggiati o utopici; segno che rifugge da rapporti armonici, che non esige in assoluto andamenti geometrizzanti (La mia luna, 2015; Il gioco delle nuvole, 2016; Il colore della fantasia, 2016; La mia foresta, 2016). E ancora: segno privo della componente semantica, o della portata nozionistica, ancorché alcune opere ne palesino l’accezione comune e nota (La madre terra, 2014; Il fiore nel bosco incantato, 2008).
Il nostro talentoso e valente artefice sa dimensionare, calibrare e armonizzare ad hoc i componenti fondamentali – forma, colore, configurazione – liberamente e senza preferenza alcuna, ma secondo il carattere della rappresentazione meditata o del tema assunto. Un’interazione stridente, o addirittura conflittuale, che ne può derivare è parimenti dominio e pregio progettuale. Solitamente la materia cromatica, presenza egemonica indiscutibile, espressionistica ed insieme lirica, talora prorompente talaltra impalpabile, quasi eterea, distribuita sul supporto (tela, carta, tavola) con volitivo piglio per mezzo dell’olio, del medium acrilico, dell’acquerello, del monotipo o delle tecniche miste a campiture, tramite il gesto breve e contratto o perentorio, spatolato e vigoroso (Presenze, 1970; Quelli che vanno, 1970; Bolero – Ravel, 2007), a macchie e grumi dripping o informali, procura vitalità e aggiunge vivacità (Studio per un ritratto, 1972; Ricerca d’immagine, 2007; Segno di terra, 2007).
Anche per Zazzeroni, maestro nelle arti visive, tutto è verità che promana dalla mente e dal cuore, ma tutto è finzione in relazione alla realtà esterna; di questa, l’alterazione, la trasfigurazione, il travisamento, lo straniamento sono paradossi in quanto omologhi dell’“imago” che abita l’interiorità, sono determinazioni percettive di guizzi psichici, e finanche labili epifanie dell’intima ineffabilità. L’inconscio è lo stato di grazia, l’ideale condizione per il nostro fecondo artista di restar fuori, finché possibile, dalla razionalità e dall’osservazione realistica nel principiare e fissare figure trasognate e significazioni sempre nuove, autentiche e sincere. Salvo che recuperare via via la piena coscienza operativa e poterle marcare di fisicità, ovvero suggerirle sciolte, diafane, incorporee.
Nel procedere di Gianfranco Zazzeroni, pare latente l’automatismo ideativo ed esecutivo di storicizzata memoria surrealista; più probabile la dosata gestualità d’occorrenza, una sorta di stenografia dell’intuizione immediata (Il caos si dissolve, 2014). D’altronde, Pierre Soulages sosteneva che “dipingere precede sempre la riflessione” là dove l’atto della pittura non è arbitrario e dove il diverso livello d’incoscienza è comunque coscienza di un’estetica in fieri: coscienza della tecnica, se non altro, che dà il necessario assetto alla forma balenata d’incanto, mai meramente decorativa, e slancio espressivo al sentimento.
L’artista si è a lungo interessato – e lo è tuttora – ai motivi della seduzione amorosa, dell’introspezione, di quelli concreti e cruciali che attengono alla vita terrena e, ancor più, al trascendente, alla cosmogonia. Esemplificando, s’incontrano molti titoli: Esplosione cosmica, 2002; La creazione, 2007; L’universo, 2008; L’incontro dei due mondi, 2009; Germinazione della vita, 2009; Genesi, 2014; I colori dell’anima, 2014; Frate Focu: Fiamma, Amore, Luce, 2014; Sia la luce, 2014; Verso il cielo, 2014; Angélus arbór vitae, 2015.
Da quanto sinora esposto si può ricavare l’adamantino ritratto morale e la ragguardevole levatura artistica d’un personaggio contemporaneo, qual è Gianfranco Zazzeroni, in grado mediante i suoi talenti di toccare senza sforzi apparenti un così ampio ventaglio di tematiche importanti e di rendere l’esercizio pittorico e grafico il viatico sicuro per sublimare l’immagine del proprio pensiero profondo”.
Piazza San Lorenzo, 8
Orario di apertura al pubblico:
tutti i giorni dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 19,00