Chieti. Il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Stefano Trinchese, si candida alla carica di rettore dell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara. La prima votazione si terrà il prossimo 20 maggio.
A renderlo noto è lo stesso professor Trinchese che ha spiegato i motivi che lo hanno spinto alla candidatura a rettore: “Io credo che una spinta decisiva derivi in qualche modo dal senso della missione. Io vivo un po’ la mia vita istituzionale come un servizio, credo che sia lo spirito di servizio che debba guidare chi è nell’istituzione pubblica, alla guida di un sistema che garantisca a tutti un futuro credibile e possibile, ma soprattutto ai nostri giovani, ed il recupero di una funzione culturale dell’Università. Io credo che questa sia la missione dell’Università: creare le condizioni possibili per la ricerca e per lo studio per i giovani e viverlo con uno spirito di servizio, servendo quindi gli studenti dell’Università e tutti coloro che ci lavorano”.
Sul suo programma: “Il programma per me non è un punto di arriva come lo si interpreta, ma è sempre un punto di partenza. Più che di programma parlerei di una sorta di vademecum che ci portiamo dietro per i prossimi sei anni, direi un breviario in qualche modo che ci accompagna e fa una sorta di guida in cui ci domandiamo ‘A chi ci rivolgiamo?’. Io mi rivolgo a tutti gli utenti dell’Università e a tutte le persone che ci lavorano a vario titolo e sottolineo il valore della persona umana: gli uomini non sono numeri, non possono essere valutati e trattata, spesso maltrattati, in quanto numeri. Si deve avere quella serenità nel vivere il proprio lavoro, ognuno deve andare all’Università a lavorare con gioia, con serenità, con fiducia. L’Università offre soprattutto studio e ricerca, in questo senso i Dipartimenti devono tornare ad essere decentrati e devono avere tutte le risorse economiche per potersi gestire, innanzitutto per i giovani ricercatori che devono essere promossi e non ultimo per il personale amministrativo che deve tornare ad avere questa fiducia perché senza il personale non lavoriamo ed il personale senza di noi non lavora. Quindi questa cosa va ricercata e portata avanti con tutte le forze”.
Stefano Trinchese appare sereno: “È un dato caratteriale, mi dicono tutti che questa serenità è sostanziale della mia persona, forse deriva anche dalla cultura da cui provengo e credo che questo debba guidare il principio vitale che ognuno ha dentro. Io certe volte mi sento quasi un sacco vuoto che viene riempito dai principi, dallo spirito che porta il proprio tempo ed i propri principi. Mi lascio guidare dai miei principi e in questo senso credo di poter garantire quella serenità che mi è caratteriale nell’affrontare situazioni anche difficili. Credo che il rettore debba essere un uomo forte e non un uomo duro, non un uomo che urla ma che unisce, che sa ricucire le lacerazioni anziché crearle e non deve essere una persona autoritaria ma autorevole e soprattutto che tragga dalla cultura la capacità di donare la serenità agli altri che lavorano con lui”.
Così invece Stefano Trinchese afferma nella sua lettera di candidatura: in questo difficile momento di transizione, avverto la responsabilità di impegnarmi in prima persona per la nostra comunità accademica. É proprio nei momenti più oscuri, quando sentiamo montare l’incertezza, che da un solido sentimento di appartenenza devono scaturire fiducia e serenità di giudizio verso una istituzione tuttora carica di futuro per la crescita del territorio e della sua comunità. Soprattutto lo stile del confronto deve distinguere l’Accademia, imponendo di prendere le distanze da avventure dall’incerto risultato. Per questo, mentre iniziano a palesarsi le candidature per il prossimo incarico di Rettore, sento il dovere di dichiarare apertamente la mia disponibilità, in atteggiamento di servizio: lontano dai condizionamenti dei gruppi di potere, con quella libertà decisionale che si lascia guidare soltanto dai princìpi e dalla coscienza. Quello che insieme dobbiamo attraversare deve essere il tempo della concordia, non quello delle lacerazioni insanabili; il tempo della discontinuità, non quello delle rivalse. Ai fautori di progetti egemonici desidero ricordare che prima delle parti c’è il tutto e che prima del tornaconto personale c’è il bene comune, da coltivare e trasmettere a chi verrà dopo di noi: per questo, se la nostra Università appartenga a Pescara o a Chieti sembra una falsa questione: occorre pensare a una relazione di equilibrio paritetico di entrambi i poli in un sistema unico decentrato, per esaltare tutte le loro potenzialità, migliorandone l’integrazione nei rispettivi contesti territoriali. Sarà compito precipuo di chi guiderà la nostra Università armonizzare le differenze, mettendole a sistema per esaltare peculiarità e competenze. A maggior ragione, la provenienza della figura rettorale da questa piuttosto che da quell’area, parrebbe di poco significato per chi vive l’Università come universitas: importante è che tale figura riassuma rappresentatività e capacità di mediazione tra le diverse aree, garantendo a ognuna – da vero primus inter pares – peculiarità e specificità di vocazione e missione. E’ questo il momento di risanare e ricucire, attraverso la moderazione dei conflitti e la progettazione di possibili scenari alternativi. L’Università, non già azienda ma comunità educativa, è un sistema complesso, che deve tornare alla gestione degli Accademici, riscoprendo la vocazione primaria alla ricerca e alla formazione delle nuove generazioni. La ragione e l’etica devono guidarne la conduzione, ma è anche il cuore che deve parlare: specialmente quando ci rivolgiamo agli studenti, nostra speranza e futuri protagonisti della società, per trasmettere con entusiasmo tutte le prospettive che le loro aspettative reclamano. Abruzzese da generazioni, ma con un percorso formativo europeo, ho a cuore le sorti dell’UdA, che non possiamo lasciare alla deriva, specie in questo momento in cui dispute e contenziosi, innescati da conflitti personalistici, rischiano di spingerci verso avventure senza ritorno. La mia formazione suggerisce di adottare un approccio propriamente ‘umanistico’, che preferisce il dialogo alle esagitazioni; l’unione delle volontà alle fughe solitarie degli imprudenti; il confronto aperto a tutti, alle riunioni elitarie. Personalmente sono animato da princìpi ritenuti desueti: il primato della coscienza, la mitezza e la disposizione all’ascolto degli altri, l’attenzione a scrutare i segni dei tempi che cambiano, la preferenza per la pacificazione e la mediazione. Privilegio attitudini che parrebbero quasi dimenticate: il rigore, il senso dell’istituzione, l’appartenenza accademica, la tutela della dignità e della giustizia sociale verso le categorie meno garantite, al fine di restaurare un clima di reciproca collaborazione e fiducia, altrimenti compromesso: è la mia storia personale, comunque rispettosa delle figure istituzionali e della persona umana, a ricordare che, nel caso delle rivendicazioni del personale amministrativo, non ho esitato ad avversare in modo schietto e diretto, nelle sedi istituzionali, provvedimenti verso i quali mi pareva doveroso il dissenso: come quando mi opposi a più riprese alla revoca dell’Indennità integrativa ai dipendenti, o sostenni la funzione primaria dei collaboratori linguistici per il dimensionamento internazionale dei nostri studenti, o infine quando fui l’unico docente, insieme al rappresentante del personale, a non votare in Senato il rinnovo del contratto al direttore generale. Ritengo che l’Università debba tornare, in piena autonomia, alla gestione degli Universitari, ai quali va restituita anzitutto la dignità della funzione accademica. Si avverte infatti una quasi palpabile attesa di nuova progettualità, da realizzare col concorso di intelligenze e culture eterogenee, ma complementari sugli obiettivi. Molti aspettano un segno credibile per ricominciare a costruire, e si intravvede un grande spazio di azione per realizzare una proposta in senso collegiale. Tale diffusa aspettativa non potrà essere soddisfatta da una cerchia ristretta, né tantomeno da una personalità dominante: ma dovrà risultare condivisa da un’estesa compagine, che raccolga insieme tutte le aree di ricerca, attraverso la formulazione di un programma articolato su concreti e verificabili punti progettuali: recupero di una piena autonomia dei dipartimenti; partecipazione allargata ai processi decisionali; dismissione del centralismo dirigistico, in favore di un ampio decentramento amministrativo verso i dipartimenti; dimensionamento internazionale; potenziamento della ricerca nei centri di eccellenza e del polo sanitario, nella prospettiva della ricaduta sulla collettività; recupero, in favore dei dipartimenti, di capitoli di spesa al fine di premialità del personale docente e amministrativo e di promozione per le giovani leve di ricercatori e docenti. Consentite un ricordo personale: quando preparavo la mia tesi di laurea su un Nunzio della Santa Sede in Turchia, più tardi divenuto Papa, rimasi colpito da un suo ammonimento: davanti alle sofferenze e alle distruzioni della guerra, egli esortava a ‘pensare in grande e guardare sempre in alto e lontano’, a non dividersi ‘sulla battigia dei conflitti’, a non avvilirsi davanti alle sofferenze e a puntare ‘la prua verso il largo’. Quelle parole mi sono rimaste incise dentro e mi hanno guidato nei momenti personali e professionali più bui. Proprio questo ritengo necessario, da questo istante e per i prossimi anni: ritrovare la capacità di essere i costruttori del nostro futuro per le generazioni che ci sono affidate. Anche da noi si impone ormai un deciso processo di riordino e perfino di completo risanamento. Verrebbe da chiedersi se si debba ricostruire daccapo ciò che era stato già faticosamente edificato: in ogni caso, gli strumenti da utilizzare non possono essere le divisioni o i rancori, bensì una coraggiosa e condivisa progettualità, che coinvolga tutte le componenti accademiche in un civile dibattito, sempre all’interno delle corrette sedi istituzionali, non nelle piazze o sui giornali. Potremmo forse riecheggiare un antico aforisma: ‘Torniamo allo Statuto!’, nel senso di un recupero del perduto equilibrio di regole e ruoli. Avverto in tutta la sua gravità questo momento di passaggio: per questo intendo mettermi ancora una volta a disposizione – in atteggiamento di servizio – della comunità accademica e territoriale alla quale con orgoglio appartengo. Nel proporre la mia candidatura alla carica di Rettore, rivolgo il mio appello a tutte le persone libere, giuste e forti, per proseguire tutti insieme il cammino con la stessa attitudine propositiva che ha caratterizzato per 50 anni la storia della d’Annunzio: ricominciando a ‘guardare in alto e lontano’ “.