«Femminicidio: Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”
Non è un problema semantico, ma culturale. Gli omicidi per “motivi passionali”, come a volte scrivono i giornali, ci fanno ripiombare in quei tempi bui dove la parola femminicidio non veniva pronunciata, accettata, compresa.
Raccolgo la proposta del Centro antiviolenza Ananke e la faccio mia. Giovedi 15 dicembre alle ore 20 sarò in piazza Unione insieme alle tante e ai tanti che pensano che il femminicidio sia una barbarie che vada fermata con ogni strumento culturale possibile e con tante azioni concrete.E’ necessario un moltiplicarsi di azioni coordinate, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni,
Soprattutto serve dare dignità, forza e strumenti a chi a sempre e da anni prova a dare risposte alle tante donne vittime di violenza. Parlo ovviamente di Ananke e dei tanti centri antiviolenza che nel nostro Paese stanno chiudendo. Servono finanziamenti e impegni concreti delle istituzioni locali e nazionali. E serve un protagonismo, una presa di parola forte e netta del genere maschile che spero il 15 sia presente alla fiaccolata e soprattutto si impegni quotidianamente partendo da un piccolo grande gesto.
Nominare la parola “femminicidio”, la rimozione del problema passa anche per un fatto linguistico.»