Chieti – È stata fissata al 18 marzo prossimo davanti alla prima sezione della Corte di Cassazione l’udienza sul cosiddetto processo di Bussi, in seguito al ricorso presentato dai pubblici ministeri Maria Rita Mantini e Giuseppe Bellelli. Il processo, celebrato in Corte d’Assise a Chieti, si era concluso la sera del 19 dicembre 2014 con l’assoluzione per tutti i 19 imputati dal reato di avvelenamento delle falde acquifere e con la dichiarazione di intervenuta prescrizione per quello di disastro ambientale, accertato dalla sentenza ma derubricato da doloso, cioè volontario, a colposo. Proprio la scelta sulla seconda imputazione, alla base della prescrizione, è stata attaccata dai pubblici ministeri che nel loro ricorso hanno chiesto l’annullamento della sentenza, in sostanza per difetto di motivazione sulla derubricazione.
L’avvocato Tommaso Navarra, che tutela il WWF Italia, parte civile nel procedimento, commenta: “Il processo di Bussi perviene al momento decisivo. Dinanzi alla Suprema Corte si porrà il problema di verificare la correttezza o meno dalla derubricazione con conseguente prescrizione del reato principale contestato. Come parte civile abbiamo sostenuto con convinzione le tesi della pubblica accusa e non possiamo in questa sede che confermarlo”.
Il delegato Abruzzo del WWF Italia Luciano Di Tizio illustra invece i possibili scenari: “Se il ricorso verrà accolto la Cassazione potrà decidere per un rinvio degli atti all’Assise di Chieti che, in diversa composizione, dovrà nuovamente esaminare le carte ed emettere una nuova sentenza. Se invece la Suprema Corte dovesse respingere il ricorso nel merito, ritenendolo non fondato, o giudicandolo in punta di diritto inammissibile, sul processo penale calerà definitivamente il sipario. Ma non purtroppo sulla discarica né sui veleni”.
Sugli esiti di quel processo sono stati anche aperti una pratica presso il Consiglio Superiore della Magistratura e un procedimento da parte del Tribunale di Campobasso dopo le rivelazioni pubblicate da Il Fatto Quotidiano nel maggio 2015 per una presunta mancanza di serenità denunciata al giornale da due delle giurate popolari.