Il Governo Renzi perde oggi un’occasione storica di combattere con azioni specifiche, coordinate ed efficaci la violenza maschile contro le donne con un Piano che affronti le esigenze tassative poste dalla Convenzione di Istanbul per proteggere, prevenire e punire la violenza maschile.
Il ruolo dei centri antiviolenza risulta depotenziato in tutte le azioni del piano, essi vengono considerati alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di meri esecutori di un servizio.
Il Piano non è stato concertato con le Associazioni. DiRe, Ass. naz. Telefono Rosa Onlus, UDI, Fondazione Pangea, Maschile Plurale, CAM, che non hanno avuto parte alcuna nella elaborazione e nella stesura di questo documento, anzi è stato comunicato loro senza possibilità di cambiamento. Questo piano non è stato nemmeno sottoposto alla Task Force governativa in materia, il cui lavoro, a volte discutibile, in questi due anni, è stato in grande parte del tutto vanificato.
Il sistema di “governance†delineato nel Piano implica e non garantisce il buon funzionamento di tutto il sistema nazionale e pone inoltre problemi giuridici di coordinamento a livello locale, vanifica il funzionamento delle reti territoriali già esistenti indispensabili per una adeguata protezione e sostegno alle donne. In particolare le grandi città, le province e le città metropolitane rischiano che sullo stesso territorio si creino più reti con gli stessi soggetti istituzionali che si sovrappongano tra loro (es. ASL, Procura, Prefettura).
La distribuzione delle risorse viene frammentata senza una regia organica e competente e che quindi non avrà una ricaduta sul reale sostegno dei percorsi di autonomia delle donne. L’allocazione delle risorse è inoltre assolutamente esigua per gli obiettivi del piano in ambito triennale, è troppo sbilanciata sui percorsi di inclusione, in particolare quelli di inserimento lavorativo, a scapito dell’ascolto, dell’accoglienza, dell’ospitalità, dei percorsi di empowerment.
Il linguaggio del Piano è discriminatorio rispetto al genere: non c’è la declinazione al femminile quando si parla di figure professionali femminili.
Infine, la funzione dell’ ISTAT, l’istituzione dello Stato che fino ad oggi ha raccolto, validato ed elaborato i dati sulla violenza di genere, è cancellata dal Piano. Viene istituita una “Banca Dati†che sarà appaltata a privati. Con questa decisione scompare il progetto di rendere stabile e obbligatoria una periodica ricerca sulla violenza di genere.
Senza queste ricerche periodiche non è pensabile – né verificabile – alcuna politica di prevenzione e di contrasto.
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