A fotografare la realtà dei 113 capoluoghi di provincia italiani, e tra questi
delle quattro città abruzzesi, è il Centro studi nazionale della Cna, che questa mattina a Roma ha chiamato a
raccolta la stampa italiana per illustrare i dati contenuti nella ricerca “Comune che vai fisco che troviâ€.
Nell’analisi realizzata da Claudio Carpentieri – una simulazione complessa che assume come modello una
impresa individuale media, con 350 metri quadrati di capannone se artigiana (170 di superficie destinata alla
vendita, se commerciale), una dotazione di personale stimata in quattro operai e un impiegati, ricavi per 431mila
euro, 160mila euro di costo del venduto e 56mila euro tra altri costi e ammortamenti, oltre a macchinari,
attrezzature, mobili e mezzi di trasporto propri – i comuni capoluogo sono classificati in ordine inverso.
In cima i
meno virtuosi, ovvero quelli che prelevano di più dalle imprese, in basso quelli più virtuosi, cioè quelli meno
rapaci verso le tasche del contribuente: con la conseguenza, per i primi, di spostare le lancette del giorno della
liberazione dall’oppressione fiscale il più tardi possibile, di accorciare i tempi per i più parsimoniosi.
In Abruzzo, a star peggio, è la città più grande, Pescara, che è 41esima in graduatoria: in pratica, il titolare
dell’impresa media stimata nello studio Cna deve aspettare il 17 di agosto per festeggiare – si fa per dire – il suo
“tax free dayâ€. Un po’ meglio va ai cugini teatini: per loro, data spostata di sei giorni, l’11 agosto, per
l’affrancamento dai balzelli, e piazza numero 57. A metà classifica, al posto numero 66, ecco Teramo: all’ombra
del Duomo, il giorno fissato per il D-Day è l’8 agosto. Posizione decisamente migliore per L’Aquila: il capoluogo,
92esimo, consente alle sue imprese di fissare il 2 agosto il proprio “tax free dayâ€.
Per redigere la sua graduatoria, l’Osservatorio messo in piedi dalla Cna nazionale ha preso in esame gli anni
compresi tra il 2011 e il 2015, con le relative variazioni (in assoluto, ma anche in percentuale) sulle principali
voci di tassazione, dagli immobili ai rifiuti, passando per l’imponibile e le varie addizionali regionali e locali dalle
sigle più stravaganti, ma tristemente note alle imprese: Imu, Tasi, Tari, Ivs, Irpef. Diverso il discorso per l’Irap,
che le misure del governo Renzi permettono – caso unico – di inserire nelle tabelle con il segno “meno“ davanti.
Frugando qua e là tra i diversi dati che compongono il paniere, balza agli occhi il fortissimo aumento, in tutte e
quattro le città, tra il 2011 e il 2015, del “combinato†tra Imu (imposta sugli immobili) e Tasi (tassa sui servizi
indivisibili): astronomico a Pescara (+2.828 euro l’anno), comunque elevatissimo anche negli altri centri: +1872
a Chieti; +1.824 a Teramo; +1.809 all’Aquila.
Tradotto in reddito disponibile, alla fine dei pagamenti vari, a una impresa pescarese (che ha lasciato il 63% del
proprio reddito al Fisco) restano poco più di 18mila e 500 euro; 19mila 2 293 a Chieti; 19mila e 699 a Teramo;
20mila e 579 all’Aquila. A consolare – almeno parzialmente – la condizione di chi sta messo peggio nella
graduatoria redatta dallo studio Cna, e deve aspettare addirittura settembre per mettersi “in proprioâ€: 29 a
Reggio Calabria, 22 a Bologna, 18 a Napoli e Roma, 15 a Firenze, 13 a Catania e 10 a Bari. Un’occhiata di invidia –
e non poteva essere altrimenti – corre infatti a quanti possono affrancarsi già a luglio: il 17 a Cuneo, il 19 Gorizia,
il 20 a Sondrio e Belluno, il 21 a Udine.
«Lo studio della Cna nazionale – commenta il presidente di Cna Abruzzo,
Italo Lupo – dice con chiarezza solare quello che non ci stanchiamo mai di ripetere: con questa pressione fiscale,
difficile fare impresa in Abruzzo e in Italia. Soprattutto per le aziende più piccole, che già hanno difficoltà a stare
sui mercati, e che devono fare ogni giorno i conti con la contrazione del credito e una qualità scarsa dei servizi.
Occorre cambiare passo, seguendo gli esempi virtuosi: come dimostra la riduzione dell’Irap operata dal governo.
Ma anche Regione e comuni devono fare la propria parte: ma in Abruzzo, per ora, di questo non vi è traccia».