Pygmalion infatti non è uno scultore, ha sposato una donna
che non ama, non ha evidentemente il favore della dea Afrodite e
comunque sogna di poter creare una donna perfetta, quella che ha
sempre desiderato e che non può essere sua moglie. Pygmalion, prodotto
dall’Associazione ReTe, è interpretato da Lorenzo Marvelli, Carmen Nubla
e Massimiliano Elia; la scenografia di Angelo Bucciacchio e Francesca
Racano.
“…Avrai una donna bellissima. Con la pelle bianca. Da poter chiamare
Galatea…” da questo assunto nasce la follia del protagonista, un
macellaio consumato dal suo lavoro con le mani sempre sporche di
sangue animale che strofina con decisione perché non ne sopporta il
tanfo.
Pygmalion è un uomo solo ed alienato, a tratti allucinato e
delirante, in grado di comunicare in maniera diretta con uno strano
personaggio, probabilmente un direttore d’orchestra o forse un cantante
lirico o più semplicemente una figura clownesca a cui chiede
incessantemente consigli e ordini. Q
uesto strano personaggio incarna la
follia di Pygmalion e ne è una rappresentazione terrificante, per certi
versi anche comica. In sua compagnia, Pygmalion, attraversa eccezionali
stati di disordine mentale, cerca invano di comunicare con la moglie, una
donna problematica e alcolizzata con l’ossessione dell’ordine e del
telefono ma ogni volta i suoi tentativi falliscono.
Lo spettacolo attraversa
le pieghe della mente allucinata di un killer seriale di donne. Caotici stati
di percezione, l’alienazione per un lavoro insoddisfacente, il delirio, le
voci nella testa, la violenza accennata e mai agita completamente,
immagini false e paradossali prendono forma sulla scena. La moglie di
Pygmalion è un essere imperfetto, con le sue ossessioni e col suo
alcolismo cronico ma comunque incarna nella storia il ruolo della vittima.
Sotto la strana regia di un personaggio goffo e terribile, due esistenze ai
margini, quella della vittima e quella del suo carnefice, si scontrano
perché non sono più capaci di incontrarsi, perché parlano lingue diverse,
perché abitano spazi diversi pur vivendo nello stesso appartamento e,
come nel mito ovidiano, in conclusione è l’uomo a decidere, è lui a
scegliere la donna che vuole e non il contrario: l’uomo è artefice di
donne, è scultore di statue, è macellaio di corpi. Un assassino che,
almeno nell’intenzione e comunque solo vagamente, ricorda lo scultore
ovidiano de Le Metamorfosi, un uomo concentrato su di sé ed incapace di
riconoscere l’altro da sé. La follia di Pygmalion diviene così l’unica
possibilità di cercare, di immaginare, di desiderare un amore che non c’è
e che non potrà esserci se non nell’artificio, nella creazione di un
simulacro vivente.
I personaggi sulla scena si allontanano continuamente
dalla naturalezza, dalla quotidianità cercando sempre la sintesi nel gesto
estremo che è l’improvvisa immagine di un ricordo, di qualcosa che è
accaduto molto tempo fa e che ne trattiene il senso. Giovedì prossimo il
“Pygmalion†debutterà davanti alla platea del Tipografia, offrendo spunti
di riflessione sulle dinamiche di coppia moderne spesso frutto di amori
tormentati che sfiorano la follia.